L’affitto in nero ai clandestini
Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione, affittare gli immobili ad immigrati clandestini integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione.
Nel caso specifico (Sentenza n.32391/17), il proprietario di un appartamento aveva concesso (senza registrare il contratto) l’alloggio ad un cittadino irregolare ad un canone di 700 euro mensili.
L’ingiusto profitto, secondo la Cassazione, può essere desunto da condizioni contrattuali oggettivamente più vantaggiose per l’agente, ma che non devono necessariamente tradursi in uno scambio (casa contro affitto) eccessivamente gravoso per lo straniero. In altre parole è possibile punire anche un locatore che applica un prezzo di mercato equo, ma che, per il fatto di non avere siglato e registrato un regolare contratto di locazione, ottenga ingiusto profitto dalla possibilità di evadere fiscalmente, incassando il canone senza assoggettarlo a imposte.
Pertanto, afferma la Corte, non risulta necessario che il profitto abbia anche la sua esclusiva causa nello sfruttamento di tale condizione ad esclusivo vantaggio del contraente più forte in grado di imporre condizioni gravose ed esorbitanti, ma è sufficiente che la illegalità della condizione della persona straniera abbia reso possibile, o anche solo agevolato, la conclusione del contratto a condizioni oggettivamente più vantaggiose per la parte più forte, condizioni che non necessariamente si devono tradurre in un sinallagma eccessivamente gravoso per il soggetto clandestino.
Già il giudice di primo grado aveva sottolineato l’esistenza di contratti relativi ad un periodo limitato e mai registrati, riportanti un canone di circa la metà di quanto realmente corrisposto dallo straniero, oltre all’impossibilità di registrare i contratti in presenza dell’irregolarità del conduttore che effettivamente lo utilizzava. Tutto questo rendeva evidente la precarietà del rapporto in sfavore dello straniero, con ingiusta prevalenza del potere di disposizione del proprietario, oltre al conseguimento, da parte di quest’ultimo, dell’ingiusto profitto del corrispettivo ricevuto e non sottoposto a prelievo fiscale.
La sentenza d’appello, invece, aveva assolto il proprietario, perché mancava la prova del dolo specifico di voler trarre profitto dalla clandestinità dell’inquilino.