Sopravvivere all’impresa in Italia
Il ruolo dell’imprenditore in Italia è sempre più scomodo a causa di un intreccio complesso di problematiche economiche, finanziarie, politiche e burocratiche. La quotidianità di chi porta avanti sia attività familiari sia attività costituite ex novo, si scontra con mercati sempre più globalizzati e con una burocrazia farraginosa e non al passo con i tempi.
Eppure, con il mito del posto fisso declassato da approdo protetto a miraggio, oggi più che mai è l’impresa che deve essere messa nelle condizioni di creare lavoro. E se l’Italia vuole crescere e rilanciare l’occupazione, priorità assoluta è rilanciare la voglia di mettersi in proprio. Soprattutto tra i giovani.
Le considerazioni esposte sono però in controtendenza con ciò che accade oggi, perché la leva fiscale, più di tutte, continua ad essere utilizzata in maniera irragionevole.
Rispettare gli adempimenti tributari mette a dura prova anche l’imprenditore più specchiato; la prassi che l’ispezione fiscale debba sempre concludersi con un rilievo conduce necessariamente alla certezza che vi sia qualcosa da pagare una volta giunti al termine del procedimento, sia che si definisca la contestazione sia che si paghi un professionista che faccia valere le proprie ragioni innanzi le sedi competenti. La sensazione dilagante è che la misura sia ormai colma. Se lo Stato vuole evitare il rischio di sempre più frequenti delocalizzazioni, non può più contare su uno sfiancato amor di patria, ma deve entrare nell’ottica di considerare l’imprenditore una risorsa e non un nemico da combattere (e abbattere).